Comune di Reggio Emilia Fondazione Palazzo Magnani

MESSICO

ZAVATTINI E IL NEOREALISMO MESSICANO

L’INCONTRO CON SIQUEIROS E GLI ARTISTI MESSICANI


MESSICO – 13 dicembre 1956

Basta stare dieci minuti davanti all’uscita del salone per vedere o giovani che, interrotta la danza, scappano via per andarsi a baciare meglio o una ragazza che piange, o rivali che si prendono a pugni. L’amore è scoperto, stradale, precoce, la solitudine delle coppie tra la folla conferma un rapporto tra la “desconfianza” verso la vita pubblica e l’attaccamento a quella sessuale e familiare, la famiglia si vede e si tocca, si toccano sempre meno le promesse dei partiti. Il popolo non ha più in mano, da circa tre lustri, non dico la rivoluzione vera e propria, ma neanche la parola. Se ne è impadronita la borghesia, per non farne nulla. […] All’uscita conobbi Siqueiros: “Il mezzo di noi pittori è antico e farlo diventare di oggi è difficile, mentre il cinema è già di oggi. I contenuti non bastano, ci vuole una nuova tecnica, una nuova materia.” Sono trent’anni che dipinge sui muri perché li veda più gente possibile; anche il neorealismo italiano è contro il cinema da cavalletto; Rivera dice che nel Messico il cinema è in crisi perché non spiega le ragioni d’essere del Messico odierno, ritroverà la via giusta se elabora fantasticamente i nostri problemi più urgenti. […] Un altro grosso personaggio è Buñuel che dice: “Viva il neorealismo, ma se ho bisogno di riferire agli altri l’istinto, lo riferisco, perché è altrettanto reale un brutto pensiero, magari osceno che mi viene, di un uomo che lavora.” Si agita nel parlare, reagisce contro la sua origine borghese, contro la sua origine cattolica, è così sincero che apre tutte le porte e si mette in mezzo alle correnti d’aria, ma il suo grido finale per liberarsi di ogni contraddizione è: rinuncio a tutto pur di servire a qualche cosa

(Cesare Zavattini, Straparole, Milano, Bompiani, 2018, p. 122, 133-34)


ZAVATTINI E IL NEOREALISMO IN MESSICO

Giunsi al Messico dove sul palcoscenico del cinema Chatapultepec dovetti parlare inaspettatamente davanti a 2.500 spettatori e dissi che il neorealismo era proprio quello che non facevano gli americani e che l’aspirazione del neorealismo era la stessa che aveva mosso Diego Rivera con i suoi affreschi, che cioè il popolo vedendosi là si conoscesse meglio e avesse quindi più fede della sua importanza

(Cesare Zavattini, Io. Un’autobiografia, a cura di Paolo Nuzzi, Torino, Einuadi, 2002, pp. 203-204)