Comune di Reggio Emilia Fondazione Palazzo Magnani

ZAVATTINI E GLI USA

ZAVATTINI A LOS ANGELES

HOLLYWOOD – 29 APRILE 1966

Dall’alto, Los Angeles è un mare di lampadine accese, la sera del 10 febbraio, invano allungavo il collo quanto l’oblò lo consente per vedere il confine col buio, la pianura di lampadine continua sempre

(Cesare Zavattini, Io. Un’autobiografia, a cura di Paolo Nuzzi, Torino, Einuadi, 2002, pp. 236)


ZAVATTINI A NEW YORK

Di fuori l’ONU era bello. Che ricchezza di linee, che genialità. Ho detto subito: voglio vedere i gabinetti, chissà come sono i gabinetti dell’ONU. M’hanno deluso, veramente deluso. Voglio dire che all’ONU ci si aspetta gabinetti superbi e invece sono modesti: non c’è proporzione. Inoltre per aprire la porta uno deve infilarci una monetina da dieci e se non ce l’ha? Io non l’avevo. Ho provato a infilarci quella da venticinque, senza chiedere il resto, ma lei non c’è entrata e io non ho potuto fare pipì. Però l’ONU mi ha fatto molta impressione, enorme impressione, l’impressione di una grande inutilità. Quelle cuffiette, quei turisti che passano come le galline in San Pietro, e la cosa peggiore è quell’orribile affresco nella sala delle assemblee. Come si può imporre una pittura così: diventa pericolo di guerra una tale mancanza di gusto. La non-guerra è una questione di gusto. Loro guardano dalla mattina alla sera l’orribile affresco, si abituano al cattivo gusto, e fanno scoppiare la guerra. Forse per questo le decisioni le pigliano in una stanza bianca che poi chiudono a chiave, così per vederli bisogna guardarli dal buco ma loro mettono un tappo nel buco e buonanotte. Non so, all’ONU ho sentito come un’angoscia, un pericolo. Diresti che si annusa la guerra lì dentro […] Però mi dispiace lasciare New York. Mi è piaciuta più di Londra, più di Parigi, mi è piaciuta enormemente e ti dico perché. Qui c’è tutta l’infanzia di una classe borghese alla quale appartengo. Qui io ci trovo malgrado la guerra tutto ciò che la mia infanzia ha sognato. Il pane di piuma, la gente che compra con estrema naturalezza i salami, voglio dire i gioielli… Mi ci riconosco e l’America, mi par di capire, va accettata così: come una poesia, senza critica

(Oriana Fallaci, Gli americani sono matti in Viaggio in America, Milano, Rizzoli, 2014 pp. 217-20)

Oriana Fallaci e Zavattini, Viareggio, 1964 (fotografia Archivio Zavattini, n. 95)