Comune di Reggio Emilia Fondazione Palazzo Magnani

LE FRASI CELEBRI

Le mie letture di ragazzo sono state due, tremendamente avide: Salgari e le dispense sul detective Nick Carter. Letture smodate. Leggevo un libro al giorno. Ricordo le emozioni che mi davano le copertine. C’erano quei gialli, quei rossi che erano una specie di anticipazione addirittura della Pop Art. Leggevo Salgari di nascosto, sotto le coltri, con una lampadina tascabile; ho rubato cinque lire per compare al Polo Sud in velocipede… Io ero SandoKan.

 

Intervistatore: Da ragazzo, pensandosi adulto, come si immaginava?

Zavattini: Avvocato, senza dubbio. I Luzzaresi, fin da quando avevo quattro anni, cinque anni, mi mettevano su tutti i tavoli dai quali lanciavo i miei sproloqui, che per i miei parenti erano arringhe, nonostante a quei tempi balbettassi notevolmente.

Intervistatore: E gli studi di legge come andavano?

Zavattini: Malissimo, malissimo. Cominciavo quelle cose poi di fronte a un certo tipo di responsabilità io lascavo, come al liceo di Roma. Il pensiero di farmi Diritto amministrativo… niente, non sono capace. Ho dato quindici esami, poi più, me ne mancavano quattro.
 

 
 

Il film è la pista di decollo per fare il punto della mia maniera di vedere, di voler vedere e di comunicare quello che è un poco della mia natura. La scena e la retroscena del mio modo di riflettere, di pensare e di immaginare. Ora c’è in me una situazione di riflessione che si può sintetizzare in questo. La mia vita, la mia carriera di scrittore non mi interessa più. Sono arrivato ad uno stato d’animo, di coscienza direi, dove non mi attira più fare una favola, una poesia, un romanzo, un diario. Mi attira enormemente il vedere proprio se ce la faccio a capire qualche cosa di più.

 

Tu, mi hanno chiesto, da che cosa ricavi questa tua vitalità e questa voglia di fare alla tua età? Ho avuto pronta la risposta, chi lo sa perché, perché non sempre si hanno pronte le risposte, e ho detto: devo tutto alla mia ignoranza. Perché. Ma perché sono così… profondamente ignorante. Illumino davanti a me non degli spazi chiari ma degli spazi d’ombra. Così ogni spazio in più è un buco nero invece che un buco bianco. Ma non solo non capisco niente, ma non ho capito niente per cinquanta anni. E quindi può un uomo morire in queste condizioni? Perché c’è una contraddizione con l’essere talmente profonda che io devo vivere. Non perché capirò la Veritàaaa tanto desiderata, ma qualche cosa di più lo devo capire!

 

In questi anni mi sono dedicato, nei rari momenti di quiete, alla pittura. Non si metta a ridere... Amo la pittura come Lei non si può immaginare, vivo più tra i pittori che tra i letterati; sono un competente di pittura moderna, mi sto facendo una discreta biblioteca di libri d’arte e convinco varia gente a fare collezioni di quadri: collezioni molto speciali che invento e curo io stesso pur di iscrivere dei nuovi amatori nel campo dei collezionisti.

 

Se mi avessero domandato: lei nella sua vita ha mai disegnato? Avrei risposto tranquillamente in quel 1939: mai. Mi ero scordato che nel 1931 avevo fatto uno scarabocchietto credendolo comunque degno di pubblicazione, infatti c’è nel mio primo libretto (1931) e guarda caso rappresenta un funeralino. I funerali dovevano poi diventare una delle mie preferenze e ne ho perfino uno di due metri per uno e cinquanta.

 

Alla mattina non sapevo che il bianco col rosso dà il rosa; quel pomeriggio del 1939 il caso mi diede un pennello in mano: deve essere stato il mio angelo custode al solo scopo di trattenermi gentilmente nel mondo che allora consideravo quasi perduto: là dove alcuni sensi stavano morendo me ne accese di nuovi.

 

In Ladri di biciclette non mi interessava il fatto comune, non il fatto straordinario: non accade niente, ma il niente è estremamente importante e da sottolineare. E’ importante che ci sia una continuità della tensione e della attenzione, senza vuoti e forse senza grandi figure, e che il popolo riesca a infiltrarsi. I grandi autori rispondono a questa esigenza apparentemente appiattendo, in realtà mettendo in evidenza l’umanità vera.

 
[Umberto D.] … un film amaro, sì, ma non un film pessimista. Io e De Sica non pensiamo affatto che Umberto D., e in generale questi nostri film, siano opere pessimiste. Crediamo proprio il contrario. Crediamo che siano film profondamente ottimisti proprio perché li facciamo per gli uomini, perché credano in una sorte migliore, perché vogliamo che gli uomini che li vanno a vedere ne traggano incitamento a far meglio, ciascuno nella propria parte, per una società in cui Umberto non sia più disperato.
 

Ieri un noto specialista di malattie nervose mi ha detto: “Lei dovrebbe tenere un diario. Le farebbe bene”. Ho risposto: “Da mezzo secolo non faccio altro”.