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"Bianco rosso verde", progetto cinematografico irrealizzato di Cesare Zavattini pubblicato sulla rivista "Cabiria"

La storia meticolosamente ricostruita di "Bianco rosso verde", un progetto cinematografico irrealizzato, ideato da Cesare Zavattini fin dal 1949, è il tema, ben lungi dal patriottico come potrebbe lasciar supporre il titolo, che Rinaldo Vignati ha pubblicato in un saggio [Tit.: "Dalla Bergman alla Loren. Un viaggio in treno di Zavattini (e Marchesi)"] apparso sull’ultimo numero della rivista “Cabiria” (n.s., n. 193, settembre-dicembre 2019; pp. 44-63). Il soggetto, che nel tempo ha subito numerose variazioni, si basa su una critica di costume, per l’epoca d’avanguardia. Si tratta del rapporto uomo/donna, nella fattispecie esemplarmente desunto dai comportamenti (e dai pensieri) di alcuni uomini e una donna sola, all’interno di uno scompartimento ferroviario. Il lavoro di scandaglio di Rignati, svolto consultando le varie versioni del soggetto conservate nell’Archivio Cesare Zavattini di Reggio Emilia, prende l’avvio dal "plot" zavattiniano ormai già ben strutturato che porta il titolo citato ("Bianco rosso verde"), elaborato tra il 1969 e il 1973, la cui sceneggiatura, oltre che dallo scrittore e cineasta emiliano, è firmata anche da suo figlio Marco, da Marcello Marchesi, Italo Terzoli ed Enrico Vaime. A testimonianza delle numerose tappe di un percorso elaborativo travagliato e complesso "Bianco rosso verde" avrà nel tempo svariate intestazioni provvisorie: "Ingorghi, treni e maghe", "Firenze-Roma (o Il Settebello)", "Cento uomini e una donna" (1964), "Una donna e molti uomini", "Dieci uomini e una donna (o La freccia azzurra)", "In treno", "La verginità", ecc.
Le tribolazioni nella definizione del soggetto saranno per Zavattini, come spesso accadde, il riflesso del contrasto tra la sua costante volontà di realizzare film problematici e impegnati e le produzioni che li volevano spettacolari e commerciali.