La Cineteca di Milano celebra con una rassegna il centenario della nascita del regista milanese
Il 19 gennaio 1925 nasceva a Milano Fabio Carpi, intellettuale poliedrico che ha avuto un ruolo significativo nella scena culturale e artistica italiana del secolo scorso. Alla sua opera cinematografica la Cineteca di Milano dedica una rassegna intitolata “Il cinema misterioso di Fabio Carpi”, che si avvale di materiale proveniente dall’archivio personale del regista milanese.
«Il cospicuo fondo Fabio Carpi, donato dallo stesso regista e conservato presso l’Archivio storico di Cineteca Milano – scrive il direttore di Cineteca Milano Matteo Pavesi – testimonia, attraverso l’affascinante intreccio di materiali filmici ed extrafilmici, tutta la vivacità intellettuale di questo autore difficile e ricchissimo. Il fondo documenta in modo capillare la feconda attività cinematografica di Carpi (mediante le copie personali 35 mm di alcuni suoi film), così come la sua non meno raffinata produzione letteraria (con volumi a stampa e manoscritti); il prezioso corredo paratestuale delle sue opere filmiche (con oltre 500 fotografie di scena), così come l’intensa attività di promozione culturale (attraverso, per esempio, le sceneggiature dei radiodrammi) e di scambio intellettuale (svolto da un vivace epistolario con scrittori come Italo Calvino). Mai come in questo caso i percorsi intertestuali tra le diverse scritture, pubbliche e private, letterarie e cinematografiche, artistiche o “di servizio”, consentono di ricostruire il profilo “a tutto tondo” di una complessa personalità artistica. A partire da questo intreccio, durante la rassegna alla proiezione di cinque fra i suoi lungometraggi più significativi, si affiancherà la presentazione di alcuni rari sottotesti o paratesti che si legano appunto alla ideazione, alla realizzazione o alla fortuna critica di quelle opere».
La proiezione di Nel profondo paese straniero di domenica 16 marzo, sarà introdotta da materiali extra filmici provenienti dall’Archivio fotografico di Cineteca Milano intorno a Cesare Zavattini.
Come sottolinea lo stesso Fabio Carpi in una lettera custodita nell’Archivio Zavattini, il suo passaggio dalla sceneggiatura alla regia avvenne nel 1968 con il documentario televisivo dal titolo “Parliamo tanto di me”: […] quell’ora di televisione su Zavattini che è stata praticamente anche il mio esordio di regista (Za Corr. C 1477).
Il documentario descrive un incontro con Cesare Zavattini seguendolo nel suo quotidiano, nelle sue relazioni, nel suo lavoro creativo.
E se è Zavattini che inaugura il lavoro da regista di Carpi, è Carpi che in un qualche modo favorisce l’incontro tra Zavattini e la macchina da presa.
Prendendo in prestito le parole di Valentina Fortichiari: “Verso la fine delle riprese, un giorno Carpi e Za si trovavano al cimitero di Luzzara. Carpi lo invita a mettersi dietro la macchina da presa, a guardare finalmente nell’obbiettivo. Parlavano, e Za andava raccontando che “lo sceneggiare è come l’ombra rispetto al vedere”. Mentre lo dice, si avvicina alla cinepresa con circospezione, copre un occhio con le dita e, distratto, lo appoggia all’obbiettivo per guardare. Confuso, si vergogna della sua goffaggine. Quando finalmente riesce a vedere nella lente a occhio nudo, si emoziona, di più, ci avrebbe preso gusto quando ottantenne, nel film La veritàaaa (1982), farà tutto da solo per la prima volta: soggetto, sceneggiatura, regia e recitazione.” (V. Fortichiari, Zavattini, la poetica dell’occhio).