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È scomparso Gianni Berengo Gardin

Gianni Berengo Gardin, maestro del racconto per immagini, è morto a 94 anni a Genova, lasciando dietro di sé una delle testimonianze fotografiche più complete dell’Italia contemporanea. Nato a Santa Margherita Ligure nel 1930, ma cresciuto a Venezia, aveva iniziato a fotografare da ragazzo e nel 1965 si era stabilito a Milano, dedicandosi al reportage in bianco e nero, sempre su pellicola, per raccontare il Paese con uno sguardo diretto, onesto e privo di artifici.
Autore di più di 260 libri fotografici e protagonista di oltre 360 mostre personali in Italia e all’estero, ha collaborato con testate come Domus, L’Espresso, Time, Stern, Le Figaro. Tra i lavori più celebri spicca Morire di classe (1969), realizzato con Carla Cerati sotto la guida di Franco Basaglia: un reportage sui manicomi italiani che contribuì alla battaglia per la Legge Basaglia del 1978.
Un capitolo fondamentale della sua carriera fu il sodalizio con Cesare Zavattini. Negli anni Settanta, il celebre sceneggiatore e scrittore decise di riprendere il progetto del libro fotografico Un paese (1955), realizzato con Paul Strand, per documentare com’era cambiata la comunità di Luzzara vent’anni dopo. Per questo progetto, Zavattini si rivolse a Berengo Gardin, attratto dal suo occhio attento e dalla capacità di avvicinarsi alle persone senza forzature.
Il lavoro iniziò nel 1973 e si concluse con la pubblicazione di Un paese vent’anni dopo (Einaudi, 1976). Il libro, volutamente “povero” nella veste grafica e venduto a prezzo popolare, rinunciava alle didascalie per lasciare che a parlare fossero le immagini e un testo introduttivo di Zavattini. Diversamente dalla visione lirica di Strand, Berengo Gardin adottò un approccio documentario e sociale, mostrando con chiarezza le trasformazioni umane e culturali della provincia italiana. Quell’esperienza segnò un momento di maturazione artistica per il fotografo e consolidò la sua convinzione che la fotografia dovesse essere prima di tutto testimonianza civile.
Negli anni successivi, Berengo Gardin proseguì il suo lavoro instancabile, fotografando l’Italia contadina e industriale, le comunità rom, le risaie, i cantieri di Renzo Piano, fino alla sua ultima battaglia contro le Grandi Navi a Venezia. Sebastião Salgado lo ha definito “fotografo dell’uomo”, riconoscendogli la capacità rara di raccontare le persone nella loro verità, senza estetismi.
Fino agli ultimi mesi ha continuato a esporre in Italia e all’estero, fedele al proprio credo: “Non voglio interpretare, voglio raccontare”. Un artigiano della luce che ha lasciato al Paese una memoria visiva onesta, potente e poetica.
Vi consigliamo la bella intervista fattagli dallo scrittore Edoardo Albinati per la Rai, disponibile su Raiplay:

https://www.raiplay.it/video/2016/11/AMABILI-TESTI-8d28e499-66a2-472f-b564-5ff42f904b15.html

La copertina della prima edizione di Un Paese vent’anni dopo, Einaudi, 1976