Comune di Reggio Emilia Fondazione Palazzo Magnani

Letteratura e diaristica

Letteratura

Sono trascorsi quasi novant’anni da quando Cesare Zavattini esordiva come caporedattore alle pagine culturali della “Gazzetta di Parma” e proseguiva su altri periodici, pubblicando, oltre a note, articoli e recensioni, raccontini semplici, brevi, pungenti, lirici e, in un certo senso, “magici”, molti dei quali poi raccolti e pubblicati nei suoi libri. Sulla base di questi stessi, come  estensione del genere cinematografico che lo ha annoverato tra i “padri fondatori”, Zavattini ha avuto a lungo la qualifica di scrittore ‘neorealista’ e, prima ancora, di ‘umorista’ sebbene la sua poetica lasci trapelare anche un’evidente connotazione «surreale e favolistica». Scrittore precocissimo, critico verso la società osservata tanto nei suoi aspetti dolorosi quanto in quelli umoristici, egli costituisce un caso particolarissimo nell’ambito della letteratura italiana del ‘900. I suoi libri sono in genere irriassumibili; essi riflettono la sua profonda avversione per il Verismo e il suo odio per  “il romanzesco, per l’eroe”. Soprattutto nelle sue prime opere letterarie, tra gli anni ’30 e i ’40, in un’epoca, quella del regime fascista, di sostanziale narcosi culturale, Cesare Zavattini ha presentato, in forme e contenuti inconsueti, il rapporto tra realtà e fantasia, cercando di privilegiare la prima attraverso originali mediazioni con la seconda. Parliamo tanto di me (1931), I poveri sono matti (1937), lo sono il diavolo (1941). Totò il buono (1943), sono i suoi primi e i più noti “lavori”. Gianfranco Contini, facendo nel 1946 un bilancio della ‘letteratura fantastica’, ha antologizzato Zavattini nella sua Italie magique di scrittori fuori dagli schemi che egli ha definito «balordi e umoristi» (G. Contini, Italie magique. Contes surréels modernes choisis et présentés par Gianfranco Contini, Aldo Palazzeschi, Antonio Baldini, Nicola Lisi, Cesare Zavattini, Enrico Morovich, Alberto Moravia, Tomaso Landolfi [e] Massimo Bontempelli, Paris, 1946). 
Narratore, diarista, poeta, autore teatrale, di ogni opera lo scrittore luzzarese ha tracciato numerosissime versioni, forse mosso proprio dal desiderio di “stringersi in una parola”, di arrivare all’essenza delle cose. Un esempio è quello di Lettera da Cuba a una donna che lo ha tradito composto da svariatissime stesure per un complesso di circa un migliaio di pagine. Elaborando, prosciugando, elidendo e concentrando, correggendo e ricorreggendo il testo, Za ne ha ridotto drasticamente la stesura definitiva. Quella pubblicata in Straparole nel volume delle Opere (Milano, Classici Bompiani, 2001), è di sole diciannove pagine. Non sempre tuttavia il suo stile originalissimo “contrario ai formalismi ma attento alla forma” è stato debitamente valutato. Zavattini è stato infatti ampiamente sottovalutato negli ambienti accademici. Nonostante questa colpevole mancanza e la necessità di un urgente e adeguato risarcimento critico, già ora egli campeggia tra gli artisti e gli intellettuali di spicco dello scorso secolo. Tra i tanti riconoscimenti ottenuti, una conferma incontrovertibile è costituita dal volume esemplare, quello di Gualtiero De Santi , Ritratto di Zavattini scrittore (Reggio Emilia, Imprimatur, 2015) che “analizza mirabilmente il suo percorso di scrittore, dagli esordi giornalistici agli ultimi libri sperimentali e d’avanguardia, attraverso quelli ‘umoristici’, quelli fotografici e di poesia” e lo accosta “ad autori italiani come Pirandello e Pasolini, europei da Gómez de la Serna a Breton e ai surrealisti francesi, da Kafka a Brecht”.

 Diaristica

Nel lessico zavattiniano c’è un ambito “narrativo” che talvolta sfugge alle sistematizzazioni e alle definizioni che inevitabilmente si assegnano alla sua ricchissima produzione. È quello della cosiddetta “diaristica”. Za non ha mai scritto un romanzo lungo prediligendo egli, una forma letteraria “apparentemente più sobria, più aderente alla realtà, più prossima alla verità” (Valentina Fortichiari). Molta parte dell’attività artistica di Za è in un certo senso “autoreferenziale”, si potrebbe dire quasi ‘autoritrattistica’. Zavattini si è dedicato al diario, all’autobiografia, alla lettera, all’autoritratto con l’incontenibile bisogno di mettere a fuoco l’essenziale ‘verità’ del carattere umano. Ed è, questa peculiarità della sua scrittura che qualcuno ha erroneamente definito ‘narcisistica’, uno degli aspetti più rilevanti del suo stile narrativo ed una delle caratteristiche salienti per le quali la sua opera assume contenuti universali e diventa ‘arte’. Tutta (o quasi) la sua produzione letteraria è in prima persona: dal Parliamo tanto di me (1931) fino a La notte che ho dato uno schiaffo a Mussolini (1976). Molti dei suoi scritti, dunque, hanno un contenuto a volte anche solo indirettamente diaristico o più genericamente autobiografico. L’archivio zavattiniano lo conferma ampiamente. Vi si trovano progetti di film non realizzati come La cavia (sottotitolo: Biografia di un amatore) dei primi anni Sessanta con notazioni diaristiche, Diario di una donna e Diario di un uomo, ambedue del 1961 con altre versioni anche umoristiche del ’63, o L’uomo ’67 (1966) e ancora il memoriale diaristico di Cesare Zavattini relativo alle fasi di preparazione del giornale «Il disonesto» (14 giugno-1 settembre 1947). Anche in relazione agli appunti preparatori dell’opera La notte che ho dato uno schiaffo a Mussolini egli ha redatto riflessioni personali e considerazioni su diversi argomenti del libro che sono raccolte nelle carte di un particolarissimo Diario. Diari sono stati scritti durante i suoi viaggi a Cuba e in Messico. Altri testi di questo genere sono il Diario di Helen Twelvetrees (Cronache da Hollywood, 1991), il Diario di un timido (Al macero, 1976), il Diario di un settantenne (ambientato nel 1899, è un finto diario ritrovato nel libro Io sono il diavolo del 1941), il Diario dei ragazzi di via Sant’Angela Merici (1944), il Diario per i posteri (1944), Riandando, diario di guerra (1941-1945). E poi ancora Diario di cinema e di vita (1940-1976) ripreso con variazioni nel Diario cinematografico (pubblicato nel 1979 ma in gran parte già uscito in Straparole nel 1967), Diario vero (1953), Diario degli italiani (1954), Diario di un anno (1954), Diario vero e proprio (1955), Diario Aut-aut (1963), Diario degli anni ’70 (1970), Diario di un uomo (1974), Diario in versi (1974), Diario ancora (uscito su «Paese Sera» tra il 1976 ed il ’77), Diario doppio (1979), Diario di un arteriosclerotico (1980) e infine Diario de La veritàaaaaaaaaaa (1980), pagine di diario in cui l'autore racconta le fasi di stesura del film testamentale La veritàaaa. In questa rigogliosa elencazione di diari vale la pena di ricordare che l’archivio conserva un diario privato, ancora oggi riservato. Zavattini inizia a redigerlo nel 1940. Diversi stralci del medesimo sono pubblicati nel volume curato da Paolo Nuzzi, Io.Un’autobiografia.

Scheda a cura di Giorgio Boccolari

Bibliografia